<<Sono stato bravo perché ho avuto uno spazio gratuitamente in TV!>> Oppure: <<Ho fatto scrivere un articolo su di me senza spendere nulla!>>.
La ricerca spasmodica (che diventa quasi pretesa) di visibilità gratuita all'interno di giornali o trasmissioni televisive è un’ossessione basata sull'autoconvinzione di essere speciali o di avere qualcosa di importante da raccontare, oltre che sul mito che i media siano una vetrina pubblica, interamente (o quasi) sovvenzionata dallo Stato. A peggiorare le cose, vi sono altri elementi da prendere in considerazione: in Italia si legge sempre meno, si spende poco per informazione e cultura e si pretende di accedere a notizie e show gratis, grazie a contenuti online e streaming.
Ma alla fine chi paga davvero per tutto ciò? È ora di smontare questo illusorio castello di carte...
Cercare di ottenere un articolo gratis o un’apparizione in TV senza compenso è come pretendere che un cuoco prepari un banchetto a costo zero o che un avvocato tuteli i nostri diritti, senza richiedere il suo onorario.
Scrivere un pezzo o produrre un segmento televisivo richiede lavoro, competenze e denaro. Eppure, molti credono che giornali e show televisivi abbiano il dovere di offrire spazio gratuito, come se fossero un servizio pubblico o non avessero niente di meglio da fare che dare visibilità ad una storia, a costo zero. Questa mentalità si nutre di due errori: l’idea che i media siano una “vetrina neutrale” a cui accedere solo per merito e la convinzione che lo Stato finanzi tutto. La realtà è ben diversa...
Tanto per cominciare, la crisi della lettura (sia di giornali che di libri) aggrava il problema. Nel 2023, solo il 22% degli italiani ha letto quotidiani cartacei, contro il 67% del 2007 (58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2024).
Consequenzialmente, le vendite hano subito un crollo drastico: nel 2024, i quotidiani hanno venduto 1,31 milioni di copie al giorno, vale a dire -29,4% rispetto al 2020.
Come se non bastasse, anche la TV soffre: l’audience medio dei talk show è scesa del 15% dal 2018 al 2023, con programmi storici come "Porta a Porta" che hanno visto perdere numerosi spettatori (qui e qui un paio di articoli dedicati).
Allo stesso modo, anche altre trasmissioni importanti hanno fatto registrare un trend negativo: Quarto Grado, in onda su Rete 4, passato da 1,5 milioni di spettatori nel 2021 agli 850.000 del 2024; Otto e Mezzo, la trasmissione di La 7 scesa dai 2 milioni di spettatori del 2020 a 1,3 milioni del 2024.
Infine, anche la spesa per l’informazione è minima: le famiglie destinano solo il 6,9% del budget a consumi culturali, con 70 milioni di euro per abbonamenti digitali nel 2021. Perché? Semplice: il web ha abituato tutti al “tutto gratis”...
L’avvento dei contenuti online ha rivoluzionato i media, ma a caro prezzo. Siti come Corriere.it, ad esempio, offrono articoli gratuiti per attrarre pubblicità, col rischio, in questo modo, di svalutare i contenuti premium. Nel 2022, Il Corriere della Sera contava 3,49 milioni di utenti unici al giorno, di cui solo l’8% con abbonamenti a pagamento per fruire delle notizie online (qui la notizia in dettaglio). Inoltre, secondo Statista dell'8 marzo 2024, la circolazione del Corriere della Sera è scesa da 5 milioni di copie nel 2014 a 246.278 nel maggio 2023, con un calo dei lettori online da 24 milioni di visitatori unici a marzo 2018 a 15 milioni a ottobre 2018.
In TV, piattaforme come YouTube e streaming illegali erodono l’audience: nel 2023, il 30% degli italiani guarda show su piattaforme gratuite, come RaiPlay, che offre streaming gratuito di 14 canali Rai e contenuti on-demand, finanziato dal canone Rai e dalla pubblicità, o su siti pirata, bypassando abbonamenti a pagamento come Sky. Tuttavia, anche RaiPlay, pur gratuita, compete con la proliferazione di contenuti gratuiti online, che riduce gli introiti pubblicitari. La pretesa di visibilità gratuita, dunque, si affianca a quella di consumare contenuti gratis, ignorando i costi di produzione.
Le conseguenze di tutto ciò sono pesanti. Gli introiti pubblicitari dei quotidiani sono calati del 39,7% dal 2018 al 2023, mentre le TV commerciali hanno perso il 12% degli investimenti pubblicitari nello stesso periodo. Le copie digitali dei giornali (che hanno perso il 23% delle vendite nel 2024) sono offerte a prezzi stracciati, così come gli abbonamenti di Repubblica a 0,33 euro. In TV, produrre un talk show costa migliaia di euro a episodio, ma i budget si riducono, portando a tagli di personale e format low-cost, mentre le redazioni e gli studi si svuotano, con giornalisti e tecnici TV precari e con stipendi sempre più bassi.
La pretesa di visibilità gratuita si basa sull’idea che i media siano in qualche modo “di Stato”; tuttavia i numeri smentiscono questo falso mito. Dieci anni fa, i contributi erano più alti (fino a 200 milioni annui) e meno concentrati; la loro riduzione nominale è evidente, ma l’aumento dei contributi indiretti e le misure straordinarie (es. Covid) hanno mantenuto il settore editoriale dipendente dal sostegno pubblico, seppur in misura minore. La percezione che i giornali siano “interamente sovvenzionati” è quindi errata: i contributi coprono solo una parte dei costi e le testate devono comunque affidarsi a pubblicità, abbonamenti e vendite. I contributi, dunque, non rendono i media “pubblici” e giornali e TV devono competere in un mercato difficile.
Infine, la concentrazione dei contributi su poche testate e i tagli ai budget TV (es. Rai ha ridotto del 10% le produzioni esterne nel 2023) mostrano che i media non sono una “vetrina di Stato”, per cui spettarsi visibilità gratuita è un’illusione che svaluta il lavoro di chi produce contenuti.
La pretesa di visibilità gratuita e il consumo a costo zero di notizie e show sono due facce della stessa medaglia: entrambe sfruttano il lavoro di giornalisti, registi e tecnici, senza riconoscerne il valore. Questo erode la credibilità dei media, visti come dei "beni pubblici" da un lato o "troppo commerciali" dall'altro... La realtà è che la precarietà dilaga: redazioni ridotte, studi TV con meno personale, chiusura di testate locali e format ripetitivi. La crisi economica, con vendite di giornali in calo (-9% nel 2024) e audience TV in flessione, rende il modello insostenibile.
Basta illusioni! Se si vuole visibilità è necessario (e giusto) investire in pubblicità, senza sfruttare il lavoro altrui.
Giornalisti, redazioni e produzioni, con il loro tempo e le proprie risorse stanno pagando un prezzo che non è sostenibile.
Se si vogliono informazione e intrattenimento di qualità è giusto pagare un abbonamento: giornali e TV, infatti, non sono gratis.
Riconoscere il valore di chi produce contenuti è l’unico modo per salvare i media in un’Italia che legge sempre meno libri e giornali e guarda sempre meno programmi, ma pretende continuamente di più.
La prossima volta che qualcuno si vanta di un articolo o un’apparizione gratis, sarebbe dunque giusto chiedergli: <<chi ha pagato per la tua visibilità?>>, con la consapevolezza che la risposta è chiara: tutti noi, con media sempre più impoveriti!
Questa attuale crisi dei media ci insegna una lezione: la qualità ha un prezzo. Vuoi valorizzare la tua comunicazione nel settore enogastronomico o imparare a investire in visibilità efficace? Scopri i miei servizi di consulenza su raffaellodecrescenzo.com o contattami per una strategia personalizzata. Sostieni i contenuti di qualità: condividi questo articolo e unisciti alla conversazione!