La prima volta che andai all’estero lo feci da studente universitario, all’interno del progetto Erasmus: fu un’esperienza che, oltre ad imparare una seconda lingua, mi permise di apprendere una lezione importante: la paura di fare qualcosa che non conosciamo è totalmente inutile.
Durante l'ultimissimo periodo del mio anno spagnolo, ricorreva un compleanno importante del progetto Erasmus (i 20 anni) e fui intervistato per un giornale locale. Ricordo ancora le mie parole: “Vivere all’estero ti fa perdere la paura (el miedo) di fare qualcosa che ancora non hai mai fatto: lasciare casa e andare in un altro Paese”.
La paura di lasciare tutto e tutti, per andare lontano e fare nuove amicizie, orientarsi in un contesto diverso da quello a cui si era sempre stati abituati, provare ed imparare cose nuove.
Per me, inoltre, che avevo studiato nella stessa città in cui avevo sempre vissuto, continuando ad abitare a casa con i miei genitori, era anche l’occasione per abituarmi a fare la spesa, cucinare, organizzarmi nelle pulizie di casa, lavatrici e tutto quanto non ero ancora mai stato costretto a fare.
L’interazione con persone di Paesi diversi con cui dividere casa, inoltre, fu molto formativa per arrivare a comprendere l’importanza di darsi delle regole con sconosciuti, all’interno di una piccola comunità come quella domestica.
Insomma, un’esperienza che, nonostante tante difficoltà e arrabbiature, ricordo comunque in maniera molto positiva ed importante.
Esperienza che mi sarebbe stata molto utile nella vita, in generale, e una decina scarsa d’anni dopo, in particolare.
Correva l'estate 2015 e un amico mi fece una proposta lavorativa a cui, complice anche una considerevole serie di delusioni professionali, non seppi dire di no.
Convivevo da un anno e mezzo e non fu facile dire a tutti, futura moglie in primis, “Parto per un paio di mesi per la Norvegia: ho bisogno di mettermi alla prova in un contesto diverso”.
Ricordo ancora le lacrime di mia madre che fino a pochi giorni prima della mia partenza cercò di fissarmi colloqui ed incontri con imprenditori locali o “millantatori di opportunità”, affinché io restassi.
Ovviamente tutti quegli incontri non servirono a nulla, proprio come la politica difficilmente si rivela di una qualche reale utilità alla vita delle persone normali… Ad ogni modo, partii e mi ritrovai a dover cercare un posto dove dormire, a farmi accettare in un luogo di lavoro totalmente nuovo senza conoscere la lingua locale e con un inglese balbuziente (che gli scaricabarili definirebbero “scolastico”).
Avevo già un’età diversa rispetto a quella della prima volta fuori dal mio paese, per qualcosa di diverso da una vacanza. Una maturità diversa. Una fame diversa.
Prima dell’Erasmus avevo fame di conoscenza e sentivo che la triennale italiana non era sufficiente per provare a trovare un lavoro.
Ora, invece, avevo fame di soldi, di riscatto personale, di gratificazione professionale.
Nel primo mese in Norvegia guadagnai più dei precedenti sei in Italia. La mia idea di rientrare dopo un paio di mesi, si sciolse come neve al sole, vedendo che, finalmente, stavo arrivando a fatturare quanto sapevo realmente di meritare.
Certo, non era facile vivere lontano dagli affetti e pensare solo a lavorare, ma la rabbia e la delusione che mi portavo dentro, erano un combustibile potente per avere l'energia necessaria a correre verso un riscatto personale.
Mi ero calato in una nuova realtà, lavorando in un settore che non era il mio ed imparando una nuova lezione (che poi è, spesso, anche il motivo per cui molti decidono di espatriare): andare all’estero ci permette di iniziare un nuovo capitolo della nostra vita.
Non importa cosa hai scritto fino a quel momento: in un contesto totalmente diverso dal tuo, inizi a scrivere pagine nuove della tua vita. Appoggi la penna del tuo destino su una pagina bianca e via…Verso nuovi orizzonti, alla scoperta di te.
Cosa sono capace di fare? Come posso realmente superare i miei limiti? Il pirandelliano concetto di “uno, nessuno e centomila” diventa realtà ancor più facilmente, lontano da casa: qui nessuno ci conosce o ci può giudicare e a nessuno importa nulla di cosa hai fatto fino alla settimana prima. Conta solo ciò che puoi realmente fare adesso.
Questo stato di “libertà mentale”, mi portò ad iniziare a fare video e raccontare le mie esperienze con la voglia semplicemente di essere utile agli altri. Fu così che mi ritrovai anche ad esser chiamato in Ambasciata, per raccontare, con alcuni video, alcune importanti manifestazioni lì tenute.
Divenni anche uno “sport reporter” lavorando per un'azienda danese per conto della quale andai a vedere partite di calcio e di pallavolo, documentandone lo svolgersi tramite una apposita app.
Infine, iniziai anche a collaborare con alcuni ragazzi italiani che avevano delle attività aperte al pubblico e che avevano a che vedere con la pizza e con prodotti tipici italiani.
Fu in quegli anni, infine, che, su richiesta della casa editrice EAI (Edizioni Accademiche Italiane) pubblicai il mio primo libro, rielaborazione della mia ultima tesi di Laurea, "Il profilo sensoriale del vino: Analisi ed applicazione del metodo”.
Escludendo altre esperienze all’estero, durate alcune settimane, Spagna e Norvegia mi hanno segnato, contribuendo a rendermi la persona che sono, con le lezioni che ho appreso sulla mia pelle:
E tu? Hai vissuto all’estero (per almeno 6 mesi consecutivi)? Che lezioni hai imparato? E se non lo hai fatto, lo faresti?
Spero, con queste mie riflessioni, di averti donato uno sprint in più per il tuo futuro. Un futuro tutto da scrivere. Senza paura. Iniziando adesso!